Carte di paese: un abbraccio alla vita

 

Sciogliendosi lo spago che stringe un mazzo di carte notarili del Cinquecento, un filo di polvere si leva dalla filza. Carte di paese, storia minima.

I primi fogli escono dall'ombra, la luce di una fotocopiatrice li abbaglia: atti di dote, testamenti, compravendite, permute, liti, riconciliazioni, inventari, delibere consiliari. E' giorno: la mole dei palazzi, trapezi di cielo azzurro, un altro incrocio, un'altra via. Al tramonto mi chino sugli atti degli antichi notai, ma il vento non soffia dentro i fiori di carta. Io cerco nel primo Cinquecento il mio paese abbarbicato sulla collina, con la torre, il castello, le chiese. Ancora filze vengono aperte, ancora pulviscolo si leva.

Le carte notarili, fiori spenti da cinque secoli, iniziano a liberare migliaia di spore, seminando su ogni fazzoletto di terra un nome e una storia: quella vigna laggiù fu dote di una sposa nell'anno 1485; quel campo nella piana fu pane di tre ragazzi affamati nell'anno di carestia 1495; su quel poggio sorse nell'estate 1525 una capanna di paglia, dentro c'era una giovane donna colpita da peste. Nomi di campi, vigne e contrade corrono sul filo delle generazioni, per posarsi sulle tue labbra. Dove il pellegrino salutò per l'ultima volta il natio paese, dove il profugo diede il primo colpo di zappa alla nuova terra... Il dolore, la speranza, le grida, i singhiozzi, le risa, la voglia di ricominciare, i mille fili e nodi che si svolsero e riavvolsero sul fazzoletto di terra che ora chiami tuo...

 

Gianfranco Ribaldone