Il vino di Pietro

 

Chi non lo ricorda?

Era scappato dall’ospedale il giorno prima di essere operato d'ernia. Era venuto a casa a piedi passando dalla valle Braida.

In quel tempo la valle era percorsa da sentieri stretti, ben battuti, che parevano nastri bianchi stesi su tappeti verdi. Non era raro il caso di gente del paese che partisse per quella strada di buon mattino e se ne andasse fino ad Alessandria solo per comperarsi un cappello. Andata e ritorno a piedi. Era sempre una festa!

Pietro era un esperto di funghi. Conosceva i luoghi dove trovarli e le diverse qualità mangerecce. Chi li aveva da lui si sentiva sicuro.

Sua preoccupazione quotidiana era sapere dove si caricava il vino. Si informava del "brentadur", o seguiva le carreggiate dei carri. Immancabilmente si presentava per farsi riempire la bottiglia. Non si ubriacava ma beveva sovente, a piccoli sorsi. A causa del suo male, digeriva meglio il vino del pane. Il suo vigneto a Santa Maria aveva più bottiglie lungo i filari che grappoli d'uva.

Aveva un cagnolino che chiamava Cianin. Gli aveva insegnato a piangere. Era la sua compagnia. Quando, stanco, si sedeva sopra un paracarro, gli diceva: «Pions, Cianin, ca stag nen ben; pions, Cianin, ca son malavi!». E il cane piangeva: Bau, bau, bau!

A quei tempi, quando si faceva una sepoltura, si usava elargire una somma di denaro ai poveri più bisognosi che avessero seguito la bara con una candela accesa (portare la torcia, si diceva). Pietro andava anche lui. La sua orazione principale era quella di imprecare contro quella donna che precedeva portando la croce, perché andava troppo veloce, e lui faticava a seguire.

Quando arrivava in chiesa si doleva che qualcuno lo vedesse.

Sentiva la necessità di fortificarsi con un sorso. Aveva l'immancabile bottiglia nella tasca sotto la giacca. Quando la Messa giungeva al Sanctus e il campanello faceva dadin, dadin, dadin, tutti i fedeli chinavano il capo, e lui alzava la bottiglia e si bagnava la bocca.

Pietro nella vita fu povero e sofferente. Cosi in morte: senza tomba e senza croce. Era però lui il crocifisso.

 

Marino Rota,Al païs d', n. 6 (1977), p. 3